CHIESA SANTISSIMA TRINITA'
via Santissima Trinità, 4
37122 Verona (vr)
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CHIESA SANTISSIMA TRINITA'


La chiesa della Santissima Trinità in Monte Oliveto è una chiesa romanica di Verona. Sorge su una piccola collinetta vicino a piazza Cittadella, nel centro della città scaligera a poche centinaia di metri da Piazza Bra e dall’anfiteatro Arena. Fu edificata nella seconda metà del XI secolo dai monaci benedettini vallombrosani e consacrata alla Santissima Trinità, alla beata Maria e a tutti i santi.

La facciata a capanna, restaurata dopo il forte terremoto del 1117, è romanica di tipo lombardo e conduce a un grande atrio, che è un prolungamento della chiesa originaria. La muratura invece è tipica del romanico veronese, con i caratteristici filari alternati di cotto e tufo. Anche il campanile, di solido impianto quadrato, è tipicamente veronese e molto simile a quelli di San Zeno e di San Fermo. La chiesa della Santissima Trinità fu edificata tra il 1073 e 1077, su UNA COLLINETTA DI MODESTE DIMENSIONI, ORMAI QUASI NEMMENO RILEVABILE, che si levava poco fuori dalle mura romane e comunali della città. Un tempo quel colle era detto monte Oliveto e, fino alla urbanizzazione del luogo avvenuta nel secondo dopoguerra, manteneva pressoché intatti i caratteri di solitudine agreste tra viti e ulivi. Eretta a parrocchia nel 1336, la chiesa fu allungata ed ampliata durante il XVI secolo con l'aggiunta dell'atrio e della Loggia delle Convertite. Era presente anche un grande chiostro romanico, raso al suolo durante i bombardamenti alleati che nel 1945 colpirono la città. Ha pianta a croce latina, il tetto a capanna, il coro semicircolare con soffitto a catino, due cappelle laterali con volte a vela, che formano i bracci della croce. La pianta della chiesa è chiusa da un'abside che comprende tutta la larghezza della navata. Due cappelle sono affiancate alla maggiore absidale formando un transetto e sporgendo sulla linea del piedicroce. La piccola abside settentrionale è anch'essa costruita in mattoni "romani" rossi e grossi, a filari triplici, alternati regolarmente a un corso di tufo, presentando quindi uno dei primi esempi di tale tecnica muraria. Le altre parti della Trinità superstiti della costruzione romanica sono databili negli anni intorno al 1130 e riconoscibili nell'abside maggiore, nel campanile e nell'atrio. 

L'atrio, prolungamento della chiesa primitiva, si presenta con la tipica facciata a capanna a due spioventi di tipo romanico-lombardo. La muratura è in tufo e mattoni conclusa dai tipici archi rampanti sotto gli spioventi. Questi archi si ritroviamo nel vicino campanile e sono ricavati da un solo blocco di tufo di forma cubica in cui si intaglia nettamente l'arco centinato il cui pieno è dato dallo stesso tufo. Il portale d'ingresso ad arco ribassato è sormontato da un protiro pensile e affiancato da due finestre trifore per parte, sostenute da coppie di leggere colonne marmoree. Il campanile di solido impianto quadrato è forse il prototipo romanico di tali manufatti: massiccio, rosso di mattoni e reso leggero, elegante dai corsi chiari di tufo, dalle lesene e dagli spigoli che lo risalgono al centro e agli angoli, è ornato da tre linee orizzontali di archi a varie altezze e ALLEGGERITO DALLE FINESTRE A TRIFORA DELLA CELLA CAMPANARIA. Come nella Chiesa di San Zeno, nella muratura di base del campanile troviamo frammenti di lapidi e di sculture romane. Notevole una delle grandi mensole funebri per sepoltura a tavolo, con la testa di Medusa affiorante dal muro del campanile, come quella di corso Porta Borsari. Proviene dalla necropoli romana che fiancheggiava la via Claudia Augusta Padana avviata a Ostiglia attraverso questi luoghi. Tra le varie opere d’arte in essa conservate si possono ammirare affreschi e tele del pittore veronese Domenico Brusasorzi e di suo figlio Felice; un affresco di Martino da Verona di una splendida Annunciazione gotica a decorazione dell’arco trionfale (fine XIV secolo); una scultura di Enrico di Rigino raffigurante la Santissima Trinità; pregevoli dipinti di Jacopo Ligozzi e di Giovanni Caliari.
 
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