OMAGGIO A HEMA UPADHYAY



sino al 7 maggio la galleria Studio la Città ospita negli spazi della Cattedrale Est, la mostra HEMA UPADHYAY, "Where the bees suck, there suck I" che renderà omaggio all’artista indiana recentemente scomparsa. A dominare la sala principale della galleria, sarà una delle sue opere più rappresentative: Where the bees suck, there suck I, la grande benna sovrastante una miriade di piccole baracche multicolori, esposta al MACRO di Roma nel 2008, a Studio la Città e al Museum on the Seam di Gerusalemme nel 2010, al Tennis Museum di Helsinky nel 2011. Inoltre Michele Sereni presenta una serie di fotografie che documentano il lavoro di Hema durante la creazione delle sue installazioni più famose. Così la ricorda il curatore Marco Meneguzzo, in un recente articolo pubblicato dalla rivista americana Artforum: ”Pensare ora che la vita di Hema Upadhyay (Vadodara, India, 1972) è stata brutalmente spezzata a Mumbai in un delitto dal movente a oggi oscuro dà un dolore difficile da comprendere, perché oltre alla singola persona, alla singola esistenza, è come se qualcuno non avesse esitato a rovinare e distruggere il talento umano, di cui l’artista è uno dei rappresentanti più alti. Perché Hema, tra gli artisti indiani della generazioni più giovani – aveva di poco superato la quarantina – di talento ne aveva tanto, e lo ha dimostrato nella maniera a nostro avviso più evidente, attraverso opere di grande semplicità ed efficacia. Come spesso accade nelle opere di artisti provenienti da Paesi “ex-esotici”, il soggetto iniziale è il proprio paesaggio e orizzonte quotidiano, che si vuole comunicare a chi non lo conosce, e a chi mostra curiosità verso di esso, nella necessità di raccontare la propria identità al di fuori di ogni stereotipo. 
 
Where the Bees Suck, There Suck I, 2008, è un’immagine semplice, ma toccante, perché riesce a centrare il problema, fornendo in un sol colpo un’infinità di significati stratificati e tutti compresenti, come ad esempio la sovrappopolazione, l’inurbamento, il pericolo politico ed economico che sovrasta i più deboli, la paura del futuro, il domani dell’umanità … tutto in uno sguardo, che riesce così a comporre l’emozione e la riflessione. Questa realtà compositiva, e soprattutto la capacità di sintetizzare un sentimento complesso in una forma semplice e “popolare” erano le caratteristiche più peculiari di Hema, e sono rimaste in tutte le sue opere, anche nelle più recenti (pensate dal 2012 ad oggi, anche per la mostra prevista a museo di Boston proprio nei primi mesi del 2016), sempre incentrate sul tema della “libertà”. Così, seguendo il detto della saggezza popolare per cui gli uccelli nel loro volo non conoscono confini e sono quindi il simbolo della libertà, aveva iniziato a costruire centinaia di uccelli di gesso coloratissimi, alcuni previsti per volare appesi a un filo, altri – la maggior parte – posati su mensole, con una strisciolina di carta stampata nel becco, il frammento di una storia, di una narrazione dalla ricomposizione impossibile, ma piena di pathos per il solo fatto di essere virtualmente dispersa nel mondo. Anche uno solo di questi uccelli avrebbe così significato il “tutto”, perché avrebbe presupposto tutti gli altri, un intero stormo che trasporta le parole, cioè le idee, e poco importa che non si comprenda di quale narrazione si tratta, perché ciò che è davvero importante è che le parole vengano trasportate dappertutto: anche volendo, non si possono infatti fermare “tutti” gli uccelli. Hema oggi è stata fermata, ma le sue parole continuano a volare”.
 
>> INGRESSO LIBERO; la galleria è aperta da martedì a sabato. orario 09.00/13.00 e 15.00/19.00
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