FLAT ALL THE WAY DOWN



in queste settimane la galleria Studio la Città dedica la sala principale del suo spazio espositivo ad Arthur Duff, con una mostra che presenta al pubblico una selezione dei suoi più recenti lavori, dai laser alle nuove opere annodate a parete, fino agli inediti lavori neon. L’esposizione, dal titolo Flat all the way down, trae origine da una distorsione dell'espressione inglese: "Turtles all the way down”, metafora estremizzata dell’idea che la terra piatta poggi sulla schiena di una tartaruga. Ma chi sostiene la tartaruga? "Easy, it’s turtles all the way down! / Facile, ci sono tartarughe fino in fondo!", questa la risposta paradossale all’aneddoto, secondo cui il mondo sia in realtà sostenuto da una catena senza fine di tartarughe più grandi. Si tratta di un detto popolare molto simile a quello italiano dell’uovo e della gallina, pensato come rompicapo logico utilizzato per enfatizzare la futilità di un discorso o, in alternativa, l'incapacità di giungere a una conclusione concreta. Nell’intenzione di Duff, “Flat” amplifica il delirio, ma per paradosso lo rende concreto. Sono queste interazioni che l’artista va cercando nell’utilizzo di parole e di materiali, interrogandosi sul suo essere “autore” di un oggetto e sulla sua conseguente influenza sul mondo circostante.
 
Come spesso accade nella poetica di Duff, i lavori in mostra mirano a dislocare le nozioni di spazio e significato, giocando con la nostra percezione di fisicità così come si utilizzano i classici elementi della scultura, dove il linguaggio e la condizione umana sono messi in discussione ed espressi in un giocoso, ma allo stesso tempo impegnato, pesante, gravoso, modo di avvicinarsi all’arte e al suo mondo. Che si tratti di un intreccio di fili annodati come un universo di particelle, di un raggio laser che fa emergere il testo dallo spazio, di parole scritte a neon su primordiali rocce laviche, tutto riconduce sempre al tema della trasformazione, della percezione e del ruolo del linguaggio visivo all’interno del contesto sociale. Il testo si fa immagine e l’immagine diventa testo, facendo sì che il confine tra i due risulti indistinto. Per citare Marco Mancassola in un testo scritto per il catalogo della mostra “Borrowing You”, a Castelfranco Veneto: «ciò che Arthur ci svela, qui, è che ogni nostro atto di comunicazione ci impone di ‘prendere in prestito’ qualcosa o qualcuno. Per parlare agli altri dobbiamo prenderli in prestito. Senza uno schermo costituito dagli altri, non riconosceremmo le nostre stesse parole. Prendiamo in prestito, siamo presi in prestito. Siamo lo schermo addosso al quale gli altri proiettano il loro discorso. Pensiamo che il nostro muro serva a difenderci, in realtà serve ad attrarre più fatalmente l’altro: il quale si avvicina, curioso, come davanti a uno specchio.»
 
>> INGRESSO LIBERO; la galleria è aperta da martedì a sabato. orario 09.00/13.00 e 15.00/19.00
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